Da
queste parti uno straniero lo riconosci al volo. Massimo
Cuomo presenta così il suo
Salvatore Maria Tempesta, il protagonista di “Piccola Osteria senza parole”,
il romanzo pubblicato da E/O nel 2014 che, dopo il successo del suo
debutto con “Malcom”, lo ha consacrato tra le penne più apprezzate del
nostro scenario letterario attuale. Anche Massimo Cuomo, infatti, proprio come
il misterioso Tempesta, è un puro: uno scrittore inconfondibile e
riconoscibile come uno straniero in
un luogo lontano, tra realtà e fantasia, dove non va mai nessuno e non succede mai
nulla. Il lettore pensa di aver imparato a conoscerlo, di aver inquadrato
il suo stile, la profondità dei suoi personaggi, la struttura originale delle
sue storie. Ma, a ogni suo nuovo romanzo, Massimo Cuomo riesce a stupire come
alla prima lettura per la libertà con cui si muove tra le storie, donando al
lettore il piacere di nuove scoperte, senza negargli il gusto di ritrovare la
forza di uno stile che cresce, pur restando sempre fedele se stesso.
In “Bellissimo”, l’ultimo romanzo anch’esso
edito da E/O, Massimo Cuomo racconta la storia di due fratelli, il bellissimo Miguel e lo sfortunato
Santiago, opposti quanto due facce della stessa medaglia che hanno in comune
molto più di quel che vorrebbero ammettere. La vicenda si snoda, con delicato e
onirico surrealismo, tra l’apparentemente incolpevole fascino di Miguel e la
frustrazione crescente del primogenito Santiago, andando a toccare in profondità
la complessità senza tempo dei rapporti famigliari fatti di aspettative e
pregiudizi culturali troppo spesso incompatibili con le leggi del sangue,
giocando, talvolta, coi linguaggi della fiaba e del mito.
Ogni caleidoscopico personaggio che colora le pagine
di Massimo Cuomo ha la capacità di scavare una nicchia nell’intimo di un
lettore sensibile e la più grande capacità di questo autore è la sottile ed
emozionante attesa che sa creare tra un libro e l’altro. Una sensazione unica,
appena sotto l’epidermide, che non è legata alla serialità di un protagonista,
come capita con tanti scrittori di grande talento, ma alla curiosità e al desiderio
di lasciarsi sorprendere da una nuova imprevedibile storia.
Evocativo,
poetico, delicato, ma allo stesso tempo tagliente, ruvido, realistico: il tuo
stile, unico nel panorama letterario attuale del nostro Paese, ti rende uno
degli autori più interessanti degli ultimi anni, in grado di scrivere storie
solo apparentemente diversissime tra loro. Facciamo un passo indietro: come,
quando e da dove nasce la tua esigenza di scrivere? Che autore sei: hai un
metodo collaudato o ti lasci guidare dall’ispirazione?
Grazie
per questa premessa, per questi complimenti. Mi gratificano perché confermano
gli obiettivi che mi sono dato strada facendo, primo fra tutti scrivere a modo
mio ciò che sento di voler scrivere nel momento. Un modo che è lo stesso di
quando ero ragazzo, perfezionato dall’esperienza. È sempre stata la cosa che ho
saputo fare un po’ meglio delle altre, scrivere: mi ha portato prima al Liceo
Classico, alla facoltà di Scienze della Comunicazione poi, alle prime
esperienze da giornalista. In quel periodo intervistavo la gente, stendevo
pezzi di cronaca e mi sembrava il mestiere che avrei fatto da grande. Invece,
dopo un po’, ho capito che non mi sarebbe bastato, che nella scrittura
inseguivo piuttosto la possibilità di stupire, di inventare, di emozionare gli
altri. A un certo punto ho deciso di provarci e ogni volta, prima di ogni nuovo
romanzo, è un po’ come la prima volta: mi ascolto per intuire se c’è una storia
che più di altre si fa sentire e poi soltanto la assecondo. In genere si tratta
di qualcosa che mi ha colpito e chiede di essere analizzato o più spesso di
qualche ferita da rimarginare. C’è molta ispirazione, sì. Però modulata
dall’analisi razionale di tutto ciò che è successo prima, dalle lezioni, dalle
sensazioni che ogni singola pubblicazione mi ha lasciato e che in qualche modo
condizionano sempre le storie successive e come decido di raccontarle.
Dal
mondo interiore di un ragazzo come tanti, al nord-est chiuso e impenetrabile,
fino agli sconfinati cieli del Messico: le ambientazioni e le vicende delle tue
storie sembrano celare significati metaforici, allegorici perfino. Come le
scegli e le rendi così vivide? In che modo ti rappresentano?
Sono
una persona molto riflessiva. Mi faccio domande su tutto quello che mi capita,
ogni giorno, e sul senso profondo della vita e delle relazioni. È uno “stato di
coscienza” costante, che ho acquisito nel tempo, e che non mi permette di
vivere quasi nulla in modo superficiale o del tutto spensierato. In un certo
senso è uno stato di infelicità latente perché l’unico modo per sentirsi del
tutto felici credo appartenga all’incoscienza: i bambini riescono a esserlo per
davvero. Eppure non rinuncerei a questa condizione, senza la quale peraltro non
sarei mai arrivato alla scrittura: nei romanzi trasporto le mie riflessioni, la
visione della realtà che ho costruito un pensiero dietro l’altro molto prima di
mettermi a raccontarla. Poi ci aggiungo il mio stile personale, che non è uno
stile perfetto, anzi, riesco a intuire con una certa chiarezza i limiti della
mia scrittura, quasi dei difetti ripetuti, che però reputo necessari: io scrivo
così ed è così che riesco a esprimermi; cerco solo di migliorarmi, leggendo gli
altri e dedicando un tempo crescente alla stesura del testo. Possedere uno stile
in fondo è questo: risultare in qualche modo riconoscibile. E per farlo cerco
di restare me stesso sempre, anche sulla carta.
L’insicuro
Zan, l’imprevedibile Tempesta e i due opposti Miguel e Santiago: tutti
protagonisti molti diversi tra loro, ma ugualmente memorabili. Come li
definiresti e quanto c’è di autobiografico in loro? Come delinei, in generale,
i personaggi dei tuoi romanzi?
Sono
un po’ in ognuno di loro. Semplicemente ho evidenziato per ciascun protagonista
delle caratteristiche che mi sono appartenute in fasi diverse della vita oppure
che attengono a lati differenti del mio carattere. L’abilità è quella di non
risultare troppo riconoscibile, di sparire fra le righe come dovrebbe fare un
buon narratore: la scelta di rinunciare alla prima persona, nei due romanzi
successivi al primo, dipende anche da questo.
Li
concepisco, i miei personaggi, come accade con la trama: comincio a
intravederli un poco alla volta, me li porto a spasso, nella testa, anche per
parecchio tempo prima di mettermi a delinearli per iscritto. E, quando quel
momento arriva, descriverli è facile, perché è come raccontare di qualcuno che
conosci bene. Il loro nome e cognome in genere nasce lì: glielo assegno di
getto, pensandoci un istante appena, e il più delle volte è un battesimo
definitivo. Per il resto li racconto per come “sento” che vadano raccontati,
per come li ho capiti. E così gli faccio fare cose che semplicemente ritengo
giusto che facciano.
È
ancora possibile, secondo te, al giorno d’oggi, fare della scrittura una
professione a tempo pieno? Che suggerimenti daresti a un giovane aspirante che
volesse seguire le tue orme? Facciamo un bilancio della tua carriera fino ad
oggi: cosa significa collaborare con un editore di qualità e come ci sei
arrivato?
Scrivere
con l’obiettivo di farne una professione è pericoloso: si corre il rischio di
perdere di vista il senso profondo della letteratura, che dovrebbe creare un
prodotto artistico prima che commerciale. Il mio suggerimento è di sforzarsi
soltanto di scrivere delle belle storie, che siano il più possibile personali e
originali. Per riuscirci occorre acquisire più consapevolezza possibile
rispetto al panorama letterario (eventualmente mirato al proprio genere) in cui
ci si vorrebbe inserire, acquisire una “visione d’insieme” studiando i
meccanismi che governano questo mondo, imparare a scegliere i libri giusti da
leggere e leggerli con spirito critico. E poi spedire e sperare, perché non è
vero che gli editori non leggono quello che ricevono. Io ho spedito ed E/O mi ha
scelto, le cose sono andate così. E considero un vantaggio il fatto di aver
cominciato e proseguito questa esperienza con un editore indipendente di
qualità perché mi ha permesso di viverla esattamente come volevo, in libertà e
con puro spirito artistico. Il fatto che non sia una professione a tempo pieno,
forse, ha reso i miei libri più belli.
A
cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il
futuro.
Dopo
aver portato in giro “Bellissimo” per parecchi mesi è arrivato il momento di
dedicarsi a una storia nuova che sta prendendo forma nei miei pensieri. Vedo lo
scenario e il senso di quello che vorrei raccontare ma è prematuro dare
qualsiasi anticipazione.
Nel
prossimo futuro ho un paio di progetti che sto perfezionando: un reading
musicale per “Piccola Osteria senza Parole” che vedrà la luce in primavera. E
poi l’organizzazione di una rassegna letteraria interna a un’importante azienda
italiana. Il responsabile del personale ha letto tutti i miei romanzi, è venuto
a una presentazione e alla fine mi ha avvicinato: «Te la sentiresti di
raccontare le tue storie, magari anche le storie di altri scrittori, ai
dipendenti di un’azienda per invogliarli a leggere di più?». E io potevo dirgli
di no?
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