Come
disse Ted Bundy, l’assassino che, negli anni Settanta, terrorizzò gli Stati
Uniti, uccidendo decine di giovani donne: “Noi
serial killer siamo i vostri figli, siamo i vostri mariti, siamo ovunque”.
Una verità difficile da accettare e che rivela come la realtà superi di gran
lunga persino la fantasia dello scrittore più ingegnoso.
Si
sentiva parlare di lei già molto prima che il suo romanzo d’esordio andasse a
ruba sugli scaffali di tutte le librerie d’Italia, quando molti editori se la
sono contesa: Ilaria Tuti col suo “Fiori sopra l’inferno”, edito da Longanesi, ha dato una scossa al thriller in rosa made in Italy, mettendo in discussione il primato di tante autrici
d’oltreoceano molto amate dai nostri lettori. E ciò che colpisce di quest’autrice
friulana dallo stile scorrevole, ma ricercato, non è solo il talento di aver
creato una protagonista magnetica come il Commissario Teresa Battaglia, ma
soprattutto l’empatia machiavellica
con cui si è calata nei panni del cattivo,
restituendoci un antagonista vero, non un super-killer,
ma un essere umano. Uno come tanti, all’apparenza e non solo.
La
capacità di evocare gli ambienti di montagna a lei cari con poche semplici
parole e l’abilità nel muovere i propri personaggi come su una scacchiera,
rendono Ilaria Tuti una vera promessa del thriller psicologico al femminile. La
profondità del Commissario Battaglia, ben lontana dagli stereotipi di
perfezione e bellezza ai quali tante autrici del genere restano comunque
legate, la rendono autentica e ne colorano la personalità, regalandoci la
certezza che, anche sulla carta, si può essere vincenti senza necessariamente
essere sempre vincitori, e sensibili anche quando si fa un mestiere che sembra
non lasciare spazio alla sensibilità, ma richiede tanto sentimento.
Un
altro aspetto interessante del romanzo è il confronto generazionale tra i vari
personaggi: ogni sfaccettatura dell’esistenza è analizzata con finezza e col
giusto disincanto, tutti elementi singolari e stimolanti anche nello sviluppo
della trama gialla.
“Fiori
sopra l’inferno” è un romanzo da leggere e rileggere, in attesa che il
Commissario Battaglia torni a stupirci al più presto con una nuova avventura.
Un sinistro paesaggio di
montagna, una profiler esperta come
ce ne sono poche nel nostro Paese, con un pesante segreto sul cuore, e un
assassino crudele che contamina la purezza della neve con la sua scia di
sangue: inizia così “Fiori sopra l’inferno”, Longanesi, il thriller d’esordio
più incalzante dell’anno. Raccontaci la genesi di questa storia: cosa ti ha
ispirato durante la stesura? Cosa vuoi comunicare?
Il
personaggio principale, Teresa Battaglia, era già nato nella mia mente, con il
suo vissuto e l’abilità investigativa che la contraddistingue. Pensando alla
storia da scrivere, volevo calarla in un’ambientazione suggestiva e ho scelto
le atmosfere delle mie montagne innevate, quelle del Friuli al confine con
l’Austria. A quel punto avevo bisogno di un antagonista che le tenesse testa. Lo
immaginavo diverso dal serial killer freddo e spietato: volevo un personaggio
empatico che potesse dare un punto di vista diverso e inaspettato. Ho trovato
lo spunto che cercavo in una lettura che stavo facendo a proposito della psiche
umana e dei suoi meccanismi affascinanti, per quanto a volte spaventosi. Una
lettura che mi ha fatto conoscere un fatto passato che è diventato l’innesco
dell’intera storia.
Con
questo romanzo ho voluto indagare la figura del “mostro”, dell’assassino
seriale, ma come dice la protagonista Teresa Battaglia, i mostri non esistono:
siamo tutti figli – a volte bistrattati – del nostro passato.
Carismatica e nello
stesso tempo sensibile come solo una donna e una grande professionista sa essere:
chi è Teresa Battaglia, il Commissario protagonista del tuo romanzo, che
promette di fare serrata concorrenza a tanti suoi omologhi letterari maschili
ben più famosi? Come la definiresti e, in generale, come delinei i personaggi
delle tue storie e le vicende che li coinvolgono?
Teresa
è una donna quasi sessantenne straordinariamente normale. Non piacente,
sovrappeso, diabetica, stanca, spesso scorbutica, ma empatica e profonda.
Teresa è una pura, la sua integrità non è mai messa in discussione, come
persona e come professionista. Non ha filtri, quindi o la ami o la detesti. È
materna senza essere madre, è fragile e determinata, saggia eppure inquieta,
protettiva e respingente: le sue contraddizioni la rendono umana e sfaccettata.
La sua forza non risiede nell’essere indistruttibile, ma nel saper ricominciare
dopo ogni battuta d’arresto, da qualsiasi punto in cui si trovi, con il carico
di paure e insicurezze che una nuova malattia le ha portato: esattamente come
fanno tante donne ogni giorno della loro vita, da sole.
Per
delineare i miei personaggi mi ispiro alle persone che incontro ogni giorno, mi
lascio guidare dalla curiosità istintiva che ho nei confronti delle loro
esistenze: mi chiedo sempre quale sia la storia di chi ho di fronte, cerco di
intuire il vissuto che c’è dietro la facciata, ma faccio riferimento anche a
personaggi conosciuti, che con il loro carisma mi ispirano. Le vicende che
coinvolgono i personaggi sono frutto di un’ideazione continua. Invento storie
ogni giorno, le annoto, immagino i dialoghi, riempio di appunti i miei
taccuini.
Non una metropoli, ma una
piccola cittadina e tutte le dinamiche della provincia e degli ambienti di
montagna del nostro Paese che ben conosci: cosa ti ha spinto a scegliere questo
sfondo innovativo e suggestivo per accompagnare
all’inferno i tuoi personaggi e i tuoi lettori?
Sono
partita da ciò che conosco meglio e amo per costruire il mondo di “Fiori sopra
l’inferno”: luoghi veri, in cui ho giocato nella mia infanzia e che ho imparato
in età adulta a guardare con la meraviglia di quando ero bambina. Ho cercato di
descriverli in modo da farli arrivare al lettore non solo con le parole, ma con
i colori, gli odori, le ombre e le luci, in modo che l’immersione nella storia
fosse un’esperienza sensoriale. Ho voluto trasmettere la loro bellezza arcaica
e arcana. È stata una piccola dichiarazione d’amore alla mia terra.
Con un debutto così
intenso, le aspettative dei lettori sono destinate a crescere: che scrittrice
sei oggi? Ti lasci guidare dall’ispirazione o hai un metodo collaudato al quale
non sai rinunciare? Cosa significa al giorno d’oggi esordire e gestire la
collaborazione con un grande editore?
È
sempre l’ispirazione a guidarmi, una visione che si forma nella mente e che
cerco di tradurre con le parole. Da sempre il mio metodo per scrivere prevede una
scaletta: un thriller è atmosfera e suggestione, ma è anche matematica. La
scaletta mi aiuta a non perdermi, ad annotare idee, dialoghi e spunti di
riflessione senza correre il rischio di dimenticarli.
Esordire
con una grande casa editrice significa gestire la grande passione che è per me
la scrittura in modo il più possibile professionale: è una questione di
rispetto per chi ha creduto in me e per i lettori che leggeranno le mie storie.
È impegnativo, ma resta il “lavoro” più appassionante, divertente e stimolante
che possa immaginare (tanto che faccio fatica a definirlo “lavoro”).
A cosa stai lavorando
attualmente? Svelaci quali sono i tuoi progetti per il futuro e quanto dovremo
attendere per leggere una nuova avventura del Commissario Battaglia…
Sto
iniziando a delineare una nuova storia di Teresa, sono nella fase di ideazione
(complicata, ma entusiasmante). Il nuovo episodio, però, non uscirà prima del
prossimo anno. Sarà sempre ambientato in Friuli, ma la neve lascerà il posto a
una natura nel pieno della sua forza…
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