“In un’epoca di
profondissima crisi culturale da cui è scaturita la crisi economica e non
viceversa, l’editore può diventare un baluardo contro la barbarie creando
cenacoli attorno ai quali possono trovare voce gli intellettuali oggi dispersi
in desolate solitudini. Si parla del “tradimento dei chierici” da anni silenti
e sempre meno punto di riferimento per la gente. Ebbene, gli editori possono
essere un primo coagulo di resistenza nel vuoto che minaccia di aspirarci. Fare
gli editori al giorno d’oggi, mettendo la qualità delle opere al primo posto,
significa portare sempre linfa vitale e voci nuove alla letteratura, senza
farsi fuorviare dalle mafie culturali che la affossano con premi che spesso
erigono a capolavori libri meno che mediocri e promuovono gli adepti
nell’osceno circuito dei talk show televisivi”.
A
risponderci così quando gli abbiamo chiesto quale potrebbe essere il ruolo
degli editori di oggi circa la tutela e la promozione della nostra cultura,
della nostra lingua e quindi della profondità e della ricchezza dei nostri
libri, è stato l’autore Valerio Varesi.
È stato proprio lui, infatti, in virtù della stima che lo lega a Carlo e Giacomo Frilli, a firmare la
prefazione all’antologia “Una finestra
sul noir”, la raccolta di racconti dedicata alla memoria dell’editore Marco Frilli, fondatore della Fratelli Frilli Editori, celebrato in
quest’opera da oltre quarantacinque tra gli autori della sua Casa Editrice.
Dopo
avervi raccontato la genesi di questa prima antologia, uscita a circa un anno
di distanza dalla prematura scomparsa di Marco Frilli, attraverso le parole dello stesso Carlo Frilli, abbiamo
voluto approfondire ancor di più come è nato questo progetto, che si rinnoverà
ogni anno, dando voce non solo a Valerio Varesi, ma anche ad alcuni tra gli
autori che hanno contribuito a comporre questo caleidoscopico libro dalle mille
sfaccettature.
Il
rapporto tra autore ed editore è una relazione difficile da raccontare, spesso
fatta di compromessi e delicati equilibri. Ma come nascono e si consolidano
questi legami? Abbiamo chiesto a Valerio Varesi quali sensazioni abbiano
suscitato in lui Carlo e Giacomo Frilli quando gli hanno parlato di questo
omaggio editoriale fatto da quasi quaranta autori a Marco Frilli, un editore di
cui, evidentemente, si percepisce la nostalgia, e lui ci ha risposto in questo
modo: “Carlo e Giacomo Frilli hanno
saputo instaurare un rapporto professionale e umano con i loro autori, tale da creare
un legame molto forte. Non ho mai pubblicato con Frilli, ma dall’esterno ho
percepito questo attaccamento tramite le parole di stima che ho sentito.
L’equilibrio nel rapporto tra autore ed editore non è facile. Il primo crede
sempre che il proprio libro sia il migliore e addebita spesso all’editore la
pigrizia nel promuoverlo. Il secondo si aspetta che il libro abbia successo
perché rischia soldi suoi e rigetta sullo scrittore la stessa colpa. Queste
differenti aspettative il più delle volte generano incomprensioni,
insoddisfazioni e anche astio”.
Per
comprendere al meglio il significato più profondo di questo omaggio a ricordo
di Marco Frilli ci siamo rivolti ai suoi autori che con tanto entusiasmo hanno
risposto all’iniziativa, come lo stesso Carlo Frilli ci ha raccontato. Ogni
autore che ha partecipato all’antologia “Una finestra sul noir” ha cercato di
immaginare l’incontro tra il proprio personaggio letterario e lo stesso Marco
Frilli, cristallizzando così, per sempre, la sua figura tra le pagine di un
libro, oltre che nei cuori di chiunque lo abbia conosciuto. Tra le quasi
quaranta firme Frilli che hanno partecipato a questa raccolta Maria Masella, Maria Teresa Valle, Alessandro
Reali, Gino Marchitelli e Armando D’Amaro, che è anche il
curatore dell’opera, hanno risposto alle nostre domande circa il loro rapporto
con Marco Frilli e la Casa Editrice, raccontandoci, in modo inedito, storie di
stima reciproca, coraggio, impegno e professionalità, come i cardini indispensabili
su cui costruire una sana collaborazione tra autore ed editore. A tutti abbiamo
rivolto domande che miravano a investigare
come si costruisce, libro dopo libro, un equilibrio stabile e duraturo tra
autore ed editore, due ruoli solo apparentemente caratterizzati da interessi
contrastanti, visto che sono destinati a raggiungere il successo solo
collaborando. Il rapporto tra Marco Frilli e i suoi autori, quindi, diventa
esempio e paradigma per comprendere meglio queste dinamiche editoriali spesso
sconosciute al pubblico dei lettori che non sanno il lavoro che c’è dietro la
creazione dei loro libri preferiti.
Le
domande rivolte agli autori che
hanno fatto da portavoce hanno riguardato i loro primi contatti con la Fratelli
Frilli Editori, i loro ricordi più vividi di Marco Frilli e la genesi dei
racconti da loro ideati per “Una finestra sul noir”. Il trasporto che traspare
dalle loro risposte è la migliore
testimonianza della passione e dell’impegno che fanno da fondamenta a questa
antologia e a tutti i libri targati Fratelli Frilli Editori.
Era l’estate del 2001,
avevo già pubblicato un giallo con un piccolissimo editore e ne avevo scritto
un altro più corposo. Quando ho letto che c’era un nuovo editore genovese che
stava pubblicando gialli di ambientazione locale, mi sono detta: “Perché non
provare a portargli il mio?”. Ho cercato l’indirizzo e ho scoperto che era
vicinissimo a casa mia, anzi a metà strada fra casa e stabilimento balneare! Ho
telefonato, ho preso una specie di appuntamento, ho stampato il file e sono andata
con il mio pacco di A4. Il libro era “Camelie” che sarebbe diventato “Morte a
domicilio”, il numero 6 della collana ‘giallo pantone’. È stato Marco a
scegliere il titolo e anche la copertina.
Ho talmente tanti ricordi
legati a Marco, perché era un rito passare in casa editrice anche solo per due
chiacchiere a raccontargli cosa avevo in mente. Ne scelgo due: il primo e
l’ultimo. Quando l’ho incontrato per la prima volta ero abbastanza imbarazzata,
temevo di fare la figura della sciocca presuntuosa. Dopo dieci minuti eravamo
al tu e fumavamo la prima di tante sigarette insieme. L’ultimo? Era già malato
quando mi ha chiesto un Mariani veloce per la prima volta: “Ancora uno, bella
gnocca.” A volte lo chiamavo “ragazzino” perché era più giovane di me, altre
“Marcuzzo”. Quel giorno gli ho detto: “Sì, ragazzino.” Li ho scritti con il
cuore in gola quei racconti e sono riuscita a farglieli leggere. E per quella
raccolta ho chiesto la dedica “A Marco”.
Non posso anticiparvi
nulla del racconto che ho scritto per l’antologia. Del resto non si svela la
trama di una storia noir, neppure sotto tortura! Vi basti sapere che Mariani è
in crisi (la storia si colloca fra “Il Cartomante di via Venti” e “Giorni
contati”, quando Antonio e Francesca vivono separati) e certi incontri casuali
in una spiaggetta di Quinto diventano per lui un momento di tregua, anche di
speranza. L’aspetto indagine è secondario, in primo piano c’è il rapporto fra
due persone che, con poche parole, si capiscono. Con Marco non ho mai avuto
bisogno di tanti discorsi. E davvero a Quinto l’ho incontrato più volte con la
sua Lilla.
Conoscevo le
pubblicazioni della Frilli e sapevo che avevano una predilezione particolare
per i noir con forti connotati di localizzazione. Mi piacevano molto i libri
che pubblicavano e sono entrata in contatto con loro prima come lettrice, che
come autrice. Ho cominciato a scrivere molto tardi, dopo il pensionamento, dopo
una carriera di biologa che mi ha dato grandi soddisfazioni. Leggere e scrivere
è sempre stata una passione e ho realizzato il primo noir per divertimento.
L'ho mandato a Marco, seguendo esattamente i consigli della casa editrice per
l'invio dei manoscritti, insieme a una lettera in cui lo pregavo di mandarmi in
ogni caso due righe, eventualmente per dirmi che il mio manoscritto era una
schifezza, solo per mettermi l'anima in pace e non scocciare altri editori.
Avrei continuato a scrivere per il mio piacere e basta. Dopo quindici giorni mi
arrivò una e-mail in cui Marco mi scriveva che il manoscritto gli era piaciuto
e, se ero d'accordo, lo avrebbe pubblicato. Quando ci siamo visti di persona
lui era seduto dietro una scrivania ingombra di qualunque cosa, il posacenere
colmo di cicche e la stanza invasa dal fumo di sigaretta. È stata simpatia a
prima vista. E poi nel tempo amicizia. Non si poteva non volergli bene.
Il ricordo di Marco che
mi è rimasto nel cuore è sicuramente l'ultima volta che l'ho visto, due giorni
prima che ci lasciasse. Andai a trovarlo nella struttura dove era ricoverato.
Stava male. Con lui c'era sua sorella, che io non conoscevo e Nora, la moglie.
Fui presentata e la
sorella di Marco rivolgendosi a lui: -Maria Teresa Valle? -disse- una brava
scrittrice?
Marco guardò me, poi lei,
sorrise sornione e disse: -Vende...
Scoppiammo tutti a ridere
e lui mi guardò soddisfatto della sua battuta. Non aveva perso il suo spirito,
nemmeno in quel momento.
Il filo conduttore di
tutta l’antologia è l'incontro immaginario tra il personaggio o i personaggi
principali dei nostri noir e Marco. Non era una cosa semplice far avvenire
l'incontro tra una persona realmente esistita e persone “di carta”.
Aggiungiamo che Maria Viani,
il personaggio seriale dei miei romanzi, non è una poliziotta, ma una semplice
cittadina che ficca il naso in tutti i delitti di cui venga a conoscenza. Come
tale l'ho immaginata nel momento in cui lascia definitivamente il lavoro e, di
cattivo umore, incerta del suo futuro, si trova a passeggiare sul lungomare di
Quarto. Immediatamente ho visualizzato Marco, nello stesso luogo, a passeggio
con Lilla. La sua cagnolona, che io ben conoscevo.
Mi è bastato lasciare che
ognuno di loro esprimesse il suo carattere: Maria pasticciona, ficcanaso,
emotiva, chiacchierona, e Marco, solido, ironico, osservatore attento, capace
di cogliere l'essenza delle cose e la storia si è scritta da sola. È un piccolo
episodio, ma su quel lungomare, su quella spiaggia vedevo proprio lui, Marco.
Sentivo la sua voce. Era con me.
Ho iniziato alla Frilli
come autore: provato per la morte di un amico, mi sono sfogato scrivendo un
noir che, giunto quasi per caso in casa editrice, è stato pubblicato nel 2007
con il titolo ‘Delitto ai Parchi’, poi seguito da tanti altri. Una profonda
stima reciproca è cresciuta via via tra me e Marco, che mi ha ‘nominato sul
campo’ lettore di gialli inediti, quindi curatore di antologie e infine assorbito
nella sua famiglia editoriale.
Marco vive costantemente
nei miei ricordi, l’amicizia che ci legava sussiste ancora oggi inalterata:
insieme abbiamo navigato su acque calme e su mari in tempesta, scambiandoci
suggerimenti sia di lavoro che di vita…Un aneddoto? Una volta, partiti in auto
per un appuntamento importante a Milano, eravamo tanto intenti nel parlare da
trovarci – ah, questi GPS! – sotto il Duomo: scesi dalla macchina ridendo come
bambini, novelli Totò e Peppino ci eravamo rivolti a un ‘ghisa’ con la mitica
frase “Noio volevam savoir l'indiriss”…e quello, impassibile, ci aveva multati.
Il mio racconto inserito
nell’antologia non è un giallo, ma un sentito rivivere dei nostri ultimi
incontri, pertanto molto intimista. Leggendolo si comprende il legame che ci
univa, tanto che suo figlio Carlo mi ha scritto: “Diavolo di un Armando, mi hai
fatto sorridere e piangere…”.
Avevo iniziato da poco a
leggere qualche autore Frilli, ma non conoscevo Marco né la famiglia, mi
sembrava una realtà per me irraggiungibile da nuovo e microscopico scrittore
dell'universo noir. Poi una comune conoscenza a me e Marco ci ha fatti
incontrare e conoscere dopo che il mio romanzo “Il Pittore” aveva ottenuto una
serie di riconoscimenti letterari importanti ed era stata considerata una delle
migliori opere inedite in Italia del mercato editoriale indipendente. Questa
persona, Riccardo Sedini, mi ha messo in contatto con Marco Frilli al quale ho
mandato un mio scritto. Lui lo ha letto e mi ha chiamato dicendomi che ne era
rimasto molto colpito e affascinato, chiedendomi se volevo entrare nella
“scuderia” Frilli non come autore in sé, ma in veste di “narratore” di noir
sociale. Detto fatto, ed ecco la pubblicazione di “Milano non ha memoria” che
mi ha fatto conoscere ad un buon pubblico e mi ha dato una certa notorietà
dandomi la possibilità di far arrivare i miei lavori ad un pubblico più vasto.
Il ricordo più vivo che
ho di Marco è quel suo modo gentile e un po' guascone di girarsi lentamente
verso l'interlocutore, me in questo caso, quando si era seduti nel suo ufficio.
Lui alla sua postazione di lettura, mi prendeva sempre in giro parlandomi di
belle donne che non potevo avere e sfottendomi paternamente. Ma ricordo anche
quando tornava a essere serio e mi esprimeva la sua stima per il lavoro
socio-politico che svolgo nella mia vita.
Quando mi è stato chiesto
di scrivere un racconto per l'antologia in omaggio alla grande figura di Marco
quello che mi è venuto in mente – dato che lui mi diceva sempre che la figura
di Cristina, la giornalista indagatrice con il commissario Lorenzi dei miei
romanzi, era una bella tipa e voleva sapere se la conoscevo davvero o se era
fantasia – che proprio il commissario Lorenzi e Cristina nel corso di un viaggio
a Genova per motivi legati ancora alla storia delle violenze di polizia del G8
del 2001, arrivassero a litigare quasi furiosamente su quelle vicende, poi si
riappacificassero rendendosi conto che la lite avrebbe preso una brutta piega.
È in queste circostanze che i due conoscono Marco Frilli, restando però in
incognito. Ma non era facile farla a Marco, grande scopritore di scrittori e
personaggi, e ciò che succede è davvero esilarante… Ho pensato che questo
potesse farlo sorridere ovunque lui ora si trovi.
Avevo scritto, tra le
altre cose, tre racconti lunghi di genere noir. Alcuni amici, lettori “Frilli”,
circa sei anni fa, mi hanno consigliato di provarci… è andata bene. È così che
sono entrato in contatto per la prima volta con questa casa editrice.
Io, come scrittore, devo
molto, se non tutto, a Marco Frilli. Avevo pochissima fiducia nelle mie
capacità narrative. Lui invece ha subito creduto in me. Ricordo la prima telefonata,
schietta, com’era lui: “Reali, allora sei tu quello che ha scritto quei tre
brutti racconti ambientati in provincia di Pavia… bene, te li pubblichiamo noi.
Se ci lavori un po’ faremo molte cose insieme. E siamo arrivati a sette
romanzi, otto tra poco. Un altro particolare che mi piace ricordare è questo:
ogni volta che ci sentivamo o ci incontravamo mi diceva, oltre a qualche
battuta sulle donne che non mancava mai: “Reali, tu sei il narratore della
Frilli, è inutile che fai finta di scrivere gialli, non mi freghi…”. Ovviamente
c’era molta ironia, in questo, ma anche un fondo di verità, penso. Lui aveva un
intuito formidabile per capire le caratteristiche di un autore.
Quando Carlo mi ha detto della raccolta
dedicata a suo padre ho scritto subito questo breve racconto. Una piccola
storia ambientata in una Pavia gelida e nebbiosa, come piace a me, che ruota
intorno alla figura triste di una prostituta amica di Selmo Dell’Oro. Marco
Frilli è coinvolto nel suo incontro con i detective. Ho cercato, in poche
pagine, di rappresentarlo come lo ricordo io: sempre pronto alla battuta,
schietto e senza fronzoli, acuto e tagliente, ma capace di un’umanità fuori dal
comune. Sembra scontato, parlarne così. Ma sono sicuro che è opinione condivisa
dalla maggior parte dei suoi autori.
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