È
il primo giugno del 2001: Serena Mollicone, una diciottenne dal sorriso solare
e dall’indole generosa, scompare senza lasciare traccia da Isola Liri, un
piccolo paese del frusinate poco distante da Arce, cittadina d’origine della
ragazza. Il suo corpo senza vita viene ritrovato due giorni dopo da una squadra
della Protezione Civile nel boschetto di Fontecupa: mani e piedi sono legati
con nastro adesivo e fil di ferro e la testa è avvolta in un sacchetto di
plastica del supermercato. L’unica ferita presente sul cadavere si trova vicino
all’occhio destro ed è stata causata da un colpo violento che però da solo non
può essere stato sufficiente a provocarne il decesso. Serena è morta dopo molte
ore di agonia e il suo corpo, abilmente manipolato, è stato portato nel bosco
dove è stato rinvenuto solo poche ore prima del ritrovamento. Da allora
l’assassino e i suoi complici sono rimasti impuniti.
Sono
passati ormai quasi quindici anni da questa tragica vicenda e attualmente,
nonostante molti sembrino conoscere la verità o esserci arrivati molto vicini,
non è stato possibile mettere la parola fine a questo mistero. Nella speranza
che la storia di Serena non venga dimenticata, Pino Nazio, sociologo,
giornalista e brillante autore televisivo, ripercorre nel suo libro “Il mistero
del bosco. L’incredibile storia del delitto di Arce”, Sovera Edizioni, tutte le
tappe della vicenda, purtroppo meno nota di altri casi di cronaca nera che
hanno visto coinvolte giovani donne negli ultimi decenni, ma non per questo
meno importante.
L’autore,
come già sperimentato in sue precedenti opere riguardanti altri noti fatti di
cronaca, utilizza magistralmente la tecnica del cosiddetto romanzo-verità,
inserendo la cronistoria degli avvenimenti realmente accaduti in una cornice
narrativa interessante e ben scritta, che rende la lettura complessivamente
meno gravosa e più avvincente. A fare da perno della storia, introducendola e
traendo poi le sue conclusioni, è il personaggio di fantasia Jacopo Ammirati,
talentuoso giornalista, che, attraverso un suo informatore, entra in contatto
con Lucrezia, una donna molto bella che sembra essere assai informata sulla
storia di Serena e che consegna a Jacopo un plico contenente un libro da lei
scritto sulla tragica vicenda, ma mai pubblicato, perché privo del finale. La
parte centrale e più estesa del romanzo è affidata proprio alle pagine di
questo libro che Jacopo divora, ripercorrendo tutte le tappe della storia della
famiglia Mollicone: il matrimonio felice tra Guglielmo e Bernarda, i genitori
di Serena, la nascita delle loro figlie, i problemi di salute di Benarda,
l’infanzia di Serena, fino alla scomparsa e al successivo tragico ritrovamento,
con tutto ciò che seguì, dalle indagini difficili a causa della presenza di
figure controverse che sembravano aver interesse a coprire la verità, fino allo
spasmodico, a tratti malato interesse mediatico, al processo, alla riapertura
di nuove indagini grazie a un nuovo testimone, che però non hanno avuto
risultati. Alla fine di questa narrazione è di nuovo Jacopo a prendere le fila
del romanzo, conducendo il lettore verso la sua personale ricostruzione dei
fatti, che rispecchia naturalmente l’opinione dell’autore stesso.
Il
romanzo, scritto anche grazie al supporto del padre di Serena, Guglielmo
Mollicone, e di Maria Tuzi, figlia di Santino, il brigadiere dei Carabinieri
di Sora, morto apparentemente suicida nel 2008 e la cui figura fu ricollegata
al caso, è steso in modo semplice, diretto, scorrevole. Tanto la parte
narrativa, quanto quella di taglio più squisitamente giornalistico, sono
declinate in modo tale da tenere alta la tensione, come si richiede a un
thriller, e, nello stesso tempo, informare puntualmente su fatti troppo spesso
mistificati in passato e sui quali rischiava di cadere l’oblio. Lo stile è
pulito, i dialoghi coinvolgenti, la cornice narrativa completamente convincente,
per quanto breve. Unica nota negativa: la presenza di qualche refuso di troppo,
in qualche caso perfino troppo grave per essere considerato un semplice errore
di stampa.
Resta
tuttavia all’autore l’insindacabile merito di aver contribuito a tenere alta
l’attenzione su un caso di cronaca nera non più recentissimo, ma ancora tutto
da definire e che è l’emblema di come non sempre verità e giustizia siano
destinate a incontrarsi, nonostante tutti sappiano bene come siano realmente
andate le cose. Un libro che racconta la vita è sempre un buon libro.
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