mercoledì 14 febbraio 2018

Fatti i fatti tuoi! ha fatto goal: i ragazzi dell’A.S.D. Antonio Ianni


Dopo aver conosciuto Maurizio D’Onofrio, il Presidente dell’A.S.D. Antonio Ianni, continuiamo il nostro viaggio all’interno di questa squadra di calcio dilettantistico conoscendo alcuni dei suoi giocatori e componenti. Destreggiandosi tra le difficoltà della vita quotidiana, i ragazzi della squadra, ogni domenica, scendono in campo onorando la maglia bianconera che indossano, sulla quale Fatti i fatti tuoi! è orgoglioso di vedere stampato il proprio logo in questo campionato, inseguendo ciascuno non solo il pallone, ma anche il proprio bagaglio di sogni.
Oltre a condividere i novanta minuti in campo, gli allenamenti e le trasferte, i componenti dell’A.S.D. Antonio Ianni tengono alti i valori dell’amicizia e della solidarietà che, sin dalla fondazione della squadra, ne hanno caratterizzato il percorso sportivo, in memoria di Antonio, il ragazzo prematuramente scomparso da cui prende il nome la società. Ciò che colpisce di questo gruppo unito e coeso, nonostante i singoli componenti abbiano tutti personalità molto forti, sia dentro, sia fuori dal campo, è proprio il profondo affetto e rispetto verso Antonio, anche da parte di chi lo ha conosciuto solo attraverso i racconti dei compagni e dei suoi familiari che seguono da sempre le vicende della squadra.
In rappresentanza di tutti i membri dell’A.S.D. Antonio Ianni abbiamo chiesto a cinque di loro, Alessandro Mattiacci, Giorgio Turini, Fabio Ferretti, Vincenzo Santini Calisti e al capitano Valerio Scaramastra, cosa rappresenti per loro il calcio giocato e di fare per noi un bilancio del loro personale percorso all’interno della squadra, ricordando assieme gli aneddoti e gli episodi che sono rimasti maggiormente impressi nei loro cuori, oltre ai loro progetti futuri. Le loro storie di vita hanno in comune la passione, la sensibilità e il sacrificio che, come stiamo imparando seguendoli in questo combattuto campionato di Terza Categoria, contraddistinguono questo sport davvero a tutti i livelli. Cuore, grinta e polmoni, come avrebbe detto Antonio.


Alessandro Mattiacci

Il calcio è una parte molto importante della mia vita. Ma non nel modo più diffuso, per me il calcio “vero” è quello che si gioca a livello dilettantistico, dove non ci sono quei grandi interessi che suscitano sospetto e odio. Il calcio per me dovrebbe essere un modo di tenersi in forma fisicamente, un modo di passare del tempo con i tuoi amici e compagni, un modo di condividere con gli altri, che hanno la tua stessa passione, quelle sensazioni forti che provi ogni volta che scendi in campo. Significa combattere uno accanto all’altro aiutandosi quando il tuo compagno non ce la fa e avere la certezza che lui farà lo stesso per te. Il calcio è anche competizione con l’avversario della domenica con il quale ti affronti al massimo delle tue capacità, non regalandogli niente e con il quale alla fine della partita è bello potersi stringere la mano o darsi un abbraccio, perché è stato bello e stimolante affrontarlo.
Faccio parte di questa squadra da quando è nata, facevo parte della squadra da cui poi è nata la Comit, poi Quadraro, poi Capannelle ed oggi Antonio Ianni. Ne abbiamo fatta di strada insieme. Gioco con questo gruppo da tanti anni, almeno dieci e non ho mai più cambiato, perché è veramente un gruppo con cui mi trovo bene. I miei compagni sono anche miei amici e non intendo staccarmi da loro. Dopo tanti anni da giocatore, oggi sono un dirigente dell’A.S.D. Antonio Ianni. Continuo ad allenarmi con la squadra, perché a me il gruppo piace viverlo innanzitutto dentro il campo di gioco, sudare e mettere insieme gli sforzi per creare qualcosa di grande. In quanto a vittorie non abbiamo avuto grandi soddisfazioni ancora, ma per quanto riguarda la crescita personale, penso di aver ricevuto tanto, da ogni componente della squadra o della società c’è sempre qualcosa da imparare, nel bene o nel male e per gli altri sarà lo stesso nei miei confronti. Per il futuro spero che continui così! Spero che questa squadra e questa società riescano a portare avanti quei principi che rappresentano lo sport: lealtà, sacrificio e disponibilità e sono sicuro che, con questi punti ben saldi nella testa di ognuno di noi, le soddisfazioni sul campo non tarderanno ad arrivare.
Con Antonio ho giocato e anche sofferto, fianco a fianco. Lui era un elemento fondamentale nel gruppo, era un ragazzo pieno di vita e di voglia di fare, era molto competitivo e ci metteva tutto se stesso in quello che faceva. Quando penso ad Antonio mi viene in mente la sua grinta infinita. “Cuore, Grinta e Polmoni” è il motto della squadra che porta il suo nome e non sono parole a caso. A ogni allenamento lui era lì, primo del gruppo a tirare la corsa, alle partitelle non ci stava a perdere, te lo sentivi addosso quando ce l’avevi contro e lo vedevi sbucare in tuo aiuto quando giocava con te. In campionato, poi, dava tutto; a volte la sua carica andava anche oltre il dovuto, in una circostanza me lo ricordo correre da una parte all’altra del campo come un pazzo per poi girarsi verso la panchina e dire: “Aò! Non ce sto a capì un cazzo! Che devo fa!?”. Me lo sono guardato e gli ho detto: “Stai calmo Anto’, tu corri nella zona tua e fa quello che sai fare in maniera semplice, questi te li magni!” lui non ha detto niente, ha fatto come gli abbiamo suggerito ed è stato eccezionale. Una sua caratteristica fondamentale, veramente difficile da trovare, era la sua capacità di caricare tutta la squadra con racconti al limite della fantasia. Prima di una finale alla quale non poteva partecipare è venuto negli spogliatoi e ci ha parlato dei Masai, di come quel popolo lo affascinava e di come era in grado di difendersi dagli attacchi dei leoni armato solo di lance. All’inizio mi sembrava un racconto insensato, ma quando ha finito di parlare dentro di me avevo il fuoco! Siamo usciti da quello spogliatoio pronti a combattere con il leone, con o senza lance.
Antonio lo ricordo anche fuori dal campo, era sempre fra i più “festaioli” quando si scherzava e rideva lui si buttava in mezzo. Nei locali lo vedevi girare come una trottola, sembrava che non fosse finito l’allenamento per lui!
Se penso ad Antonio ho sempre in mente una figura forte, importante e alla quale potersi appoggiare. È così che lo vediamo tutti ed è così che vogliamo che lo vedano anche gli elementi della squadra che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo. In base a questa immagine che abbiamo di lui cerchiamo di costruire la nostra squadra, provando a dare, per quanto possibile, ai nuovi compagni il sostegno che noi abbiamo sempre ricevuto da Antonio.
Di esperienze vissute che potrei raccontare ce ne sono diverse: partite in cui abbiamo lottato per poi vincere o perdere, ma uscendo comunque dal campo convinti di aver dato tutto. Ricordo la coppa persa ai rigori con la squadra dimezzata, una partita di campionato a Tor Bella Monaca vinta 3 a 0 dove abbiamo dato una dimostrazione di quanto l’unione di intenti e l’aiuto reciproco possano portare lontano, ma soprattutto mi viene in mente la partita giocata il 9 febbraio 2014, il giorno dopo la scomparsa di Antonio.
Quella partita era contro l’Esercito Calcio e nessuno voleva giocarla, purtroppo la federazione non ha accettato la nostra richiesta di rinvio e la decisione della squadra alla fine è stata di presentarsi. Prima della partita si è fatta la conta di chi se la sentisse di giocare e chi no, quando è stato chiesto a me erano già arrivati troppi no e, nonostante io fossi contrario a giocare una partita con quello stato d’animo interiore, ho deciso di farlo. Prima di entrare in campo ho pensato: “Se proprio devo giocarla, questa posso solamente vincerla”. Da che ero vuoto, senza la solita voglia e senza grinta, con un solo pensiero in testa, quando è iniziata la partita ho cominciato a scaricare la tensione, mi è venuto in mente come Antonio aveva affrontato tutte le partite giocate insieme e ho capito come era giusto comportarsi. Alla prima lamentela di un loro attaccante la mia risposta è stata: “Oggi perdi. Lascia sta’…”. La partita è andata avanti così per tutti i miei compagni, noi non eravamo disposti a non vincere e così è stato. Al fischio finale tutta la carica e la tensione accumulate sono calate e ci siamo stretti in un abbraccio in mezzo al campo senza che nessuno avesse voglia di festeggiare una partita che, in altre circostanze, lo avrebbe meritato. Quella giornata mi ha dimostrato ancora una volta cosa significa far parte di un gruppo del genere. Avevamo il vuoto dentro e avremmo preferito rimanere ognuno a casa propria, ma lo stare insieme sapendo che tutti provavamo la stessa sensazione di dolore ci ha aiutato. Giocare la partita alla fine è stato meglio che guardarla, in qualche modo ho potuto scaricare parte di quello che avevo dentro e quell’abbraccio collettivo a fine partita non si può spiegare che emozioni mi ha fatto provare… Pensando a questi motivi mi convinco sempre di più di quanto sia bello far parte di un gruppo di amici che condividono una passione, quanto sia forte lo sport e soprattutto lo sport di squadra, sia per tenere il proprio fisico in forma, sia per la crescita personale di chiunque.


Giorgio Turini

Per me il calcio, ad oggi, è il mio secondo grande amore, perché il primo è mio figlio, ma resta comunque è il mio primo amore della vita. Quell’ amore per il quale stai male se non giochi. Il calcio è un sogno che ti spinge a trentadue anni a giocare ancora e ad allenarti, perché ancora pensi che “da grande” potrai fare il calciatore professionista. Il calcio è appartenenza, amicizia, gioia e dolore. Il calcio rappresenta la vita su un rettangolo di gioco.
Sono fiero di dire che, con un piccolo contributo, ho partecipato a far nascere questa squadra, l’Antonio Ianni, ma già da diversi anni prima facevo parte di questo gruppo che all’inizio era Quadraro, poi Capannelle.
Il mio bilancio come giocatore sul campo si è concluso due anni fa, quando sono diventato padre. Con la nascita di mio figlio, per problemi famigliari, ho dovuto smettere di giocare le partite, ma tuttora ancora mi sento parte integrante del gruppo, visto che mi alleno con la squadra. Dal futuro mi aspetto che i miei compagni riescano a raggiungere la promozione di categoria, visto che ne hanno le potenzialità.
Per me Antonio era un grande amico, di cui conservo tanto ricordi. L’ho conosciuto il primo anno che ho iniziato a giocare con il Quadraro Cinecittà, poi da allora è nata una amicizia dentro e fuori dal campo, visto che abbiamo condiviso uscite e vacanze extracalcistiche che rimarranno dentro il mio cuore e che conservo gelosamente. Per chi lo ha conosciuto sicuramente rappresenta un meraviglioso ricordo. Penso che noi tutti che abbiamo avuto il piacere di condividere con lui delle esperienze dovremmo essere grati al Signore di averci dato la possibilità di conoscere Antonio. Per quanto riguarda i nuovi ragazzi, spero che, attraverso i nostri racconti, Antonio rappresenti un esempio da seguire, perché in fondo per tutti noi lui era ed è un esempio.  
Ho così tanti ricordi di Antonio, che è difficile sceglierne uno. Posso dire che ho deciso, subito dopo la sua morte, di dedicargli un tatuaggio che poi oggi insieme a quello di Fabio Ferretti, detto Fettucina, hanno dato vita allo stemma della nostra squadra.        
Avendo passato con Antonio molti momenti dentro e fuori dal campo, molti dei miei ricordi sono anche personali. Antonio ed io ci confidavamo molto. Per far capire che tipo di persona era posso raccontare un episodio accaduto all’ interno della sfera calcistica. Una domenica Mister D’Onofrio, l’attuale Presidente, decise di schierare Antonio titolare nel ruolo di terzino sinistro dove per tutta la settimana di allenamento avevo giocato in prova io stesso. Poco prima dell’inizio della partita Antonio si avvicinò a me dicendomi: “Giorgio, perdonami se gioco io al posto tuo, mi dispiace, mi sento in colpa!”.  Antonio era questo, dentro e fuori dal campo, una persona che si faceva in quattro per gli altri ed era in grado anche di scusarsi per cose che non dipendevano dalla sua volontà perché si metteva sempre nei panni degli altri.


Fabio Ferretti

Sono entrato a far parte di questa squadra in un momento della mia vita in cui avevo maggiormente bisogno di stimoli, adrenalina, competizione e di mettermi in gioco, cambiare aria e soprattutto riprendermi il mio ultimo gioco da bambino. Il gioco del calcio è condiviso con molte persone, ma al tempo stesso è un angolo fanciullesco che custodisco gelosamente dentro di me. La mia storia parla di un ragazzo che ha provato a diventare uomo, districandosi tra difficoltà e responsabilità, ma mosso sempre e comunque da passione e divertimento. Finché il fisico e gli impegni me lo consentiranno, il calcio rappresenterà quella scintilla che arderà dentro di me quotidianamente: è la cosa più importante fra le cose meno importanti.
Antonio è quello che cercavo, tutto quello che in un compagno bisognerebbe sempre trovare. Lealtà, dedizione, complicità, se avevo perplessità su qualche mio modo di seguire le attività agonistiche, ne parlavo con lui, mi rincuorava. Era la risata al momento giusto, la pacca sulla spalla nel momento del bisogno. Antonio è quel ragazzo che anche quando impossibilitato ad allenarsi e scendere in campo, faceva di tutto per caricarci, aiutarci, sostenerci fino a straziarsi, lui per noi, nelle avversità.
Per il gruppo, il suo motto, CUORE-GRINTA-POLMONI, deve essere uno stile di vita dentro il campo. Noi, pochi rimasti ad averlo avuto come compagno di squadra, cerchiamo anche con l'aiuto
dei genitori, delle sorelle, di sensibilizzare i nuovi che non lo hanno vissuto.
Una delle prime partite che riuscii a disputare dopo quel maledetto 8 febbraio 2014 che ci ha portato via Antonio, ci vedeva di fronte a una squadra ostica e abbastanza detestata, il Dacica. In casa loro, decimati dagli infortuni, siamo riusciti a mettere la partita sul binario giusto, 0 a 1. Dopo l’intervallo, subentro nella ripresa, un secondo tempo molto combattuto nonostante avessimo messo a segno lo 0 a 2. Mi piace pensare che sul finale di gara, con le forze che venivano a mancare, Antonio sia venuto in nostro aiuto: ricordo che mi lanciai in un pressing disperato, senza mai sapere da dove tirai fuori quella tenacia, rubai palla sulla trequarti di campo avversaria, dal limite dell'area beffai il portiere con un pallonetto onestamente tanto bello quanto insolito per me. Gioco, partita, incontro. Non so descrivere che emozione provai, viene la pelle d'oca e qualche lacrima solo a ricordarlo e il mio più grande rimpianto sarà sempre di non aver potuto gioire con lui fisicamente di questo gesto anche se, come detto, niente mi leva dalla mente, che quel giorno lui era lì con noi. Come sempre. Non solo sulle spalle della nostra maglia da gioco, lui vive con noi. Racconterò di lui, sempre, ai miei figli, ai miei nipoti, dirò di non smettere mai di sognare, di credere sempre nel raggiungimento di un obbiettivo che uno nella vita si prefissa. Si lotta fino alla fine per arrivare alla meta, questo ci ha lasciato Antonio, questo è quello che va fatto.



Vincenzo Santini Calisti

Dire cos’è per me il calcio è molto complicato, perché porta con sé molti significati, ma se dovessi sintetizzare questi concetti e dirlo in poche parole, direi che il calcio è ciò che mi rende libero.
Sono entrato a far parte di questa squadra otto anni fa, tramite un amico, di un amico, di un amico…
Le cose belle, però, nascono quando meno te lo aspetti, e infatti ho trovato un gruppo unico, ormai per me quasi una famiglia. Spero per il futuro che la squadra possa continuare a crescere e togliersi qualche soddisfazione.
Antonio era unico. Inizio con una frase forse scontata ma che racchiude tutto. Per la nostra squadra rappresenta l’ideale a cui tutti ci ispiriamo, non solo quando siamo nel rettangolo di gioco. Antonio era una persona fantastica, sempre sorridente, sempre pronto a darti una mano e ad aiutarti. Corretto e leale. Ti bastava starci insieme pochi minuti per capire quanto fosse speciale. Non posso dimenticare quando, durante la malattia di mio padre, mi scrisse per dedicarci (a me e mio padre) la vittoria della nostra squadra. Una cosa che può sembrare sciocca, ma che riuscì a regalarmi un sorriso in quel momento, e a farmi sentire la vicinanza di Antonio e di tutto il gruppo. La dedica finiva con il suo motto “cuore, grinta e polmoni”.
Il momento che più mi ha segnato è stato proprio il giorno in cui Antonio scomparve. Dovevamo giocare una partita contro l’Esercito Calcio. Negli spogliatoi ci siamo guardati perché non tutti se la sentivano di scendere in campo. Io ero fra quelli che volevano giocare, ma non biasimo chi non ce la faceva, ognuno ha il suo modo di reagire agli eventi della vita. Volevo giocare, perché entrare in campo significava per me essere vicino ad Antonio. È stato grazie a questa passione che avevamo in comune che ci siamo conosciuti. Io lo volevo salutare giocando, perché sapevo che lui in quel momento era con ognuno di noi, e so quanto ci teneva a scendere in campo e lottare con i compagni. Vincemmo la partita 1 a 0. Quando segnammo il gol della vittoria, ricordo solo un’esplosione di una gioia strana. Era mista a troppe cose, c’era rabbia, dolore, tristezza, ma anche gioia. La gioia per me di sentire Antonio ancora una volta esultare insieme a me, come avevamo fatto tante altre volte.



Valerio Scaramastra

Il calcio giocato è una delle cose più importanti della mia vita, lo è sempre stato. Ho iniziato a giocare all'età di sei anni e da lì non ho mai smesso, e spero di poter giocare ancora per molto tempo. Sicuramente fino a che le gambe mi sosterranno ce la metterò tutta per andare avanti!
Mi potrei definire uno dei "fondatori" della squadra (anche se all'atto pratico non è stato cosi), ma mi piace pensare di esserlo, per quello che ho fatto prima di conoscere Antonio, mentre ci giocavo insieme, e dopo la sua morte. Gioco in questo gruppo da almeno undici anni, se non ricordo male, abbiamo cambiato diverse maglie, giocatori e società, ma alcuni di noi ancora sono presenti nel gruppo.
Il mio percorso tutto sommato è stato sempre un crescendo, ovviamente con alti e bassi, che fanno parte della vita. Il miglior anno calcistico lo abbiamo ottenuto nel penultimo anno di A.S.D. Capannelle quando, anche con Antonio in campo, siamo riusciti a raggiungere una promozione in seconda categoria, con una finale di coppa delle province persa solo ai rigori. Lì eravamo un grande gruppo, un gruppo di amici dentro e fuori dal campo, lo ricorderò sempre come l'anno migliore. Per quanto riguarda il bilancio con l'A.S.D. Antonio Ianni, devo dire che avrei sperato di ottenere molto di più, visto purtroppo anche il livello in cui si trova ora la terza categoria, ed il potenziale dei giocatori che sono passati in questi anni. Personalmente penso che a livello tecnico siamo andati sempre migliorando con gli anni, però forse c'è sempre mancata la fame di vittoria, che magari ti dava quella spinta in più per ottenere un traguardo migliore. Come si dice, la speranza è l'ultima a morire, quindi mi auguro che ogni anno che verrà sia sempre migliore e che magari ci faccia rivivere le emozioni provate in quell'annata accennata in precedenza. 
Antonio era un ragazzo magnifico, l'amico che tutti vorrebbero avere. Era una persona leale, generosa, simpatica e piacevole. A livello calcistico si può definire un "cavallo pazzo", forse un po’ indisciplinato tatticamente, ma la sua voglia, il suo cuore e la sua grinta, facevano sì che riuscisse a colmare alcuni limiti. Il sacrificio che metteva a disposizione della squadra era una cosa che è sempre stata apprezzata e lo ha sempre contraddistinto.  Era un combattente che non si dava mai per vinto e ce la metteva tutta fino alla fine. Ovviamente per noi che lo abbiamo conosciuto e giocato insieme rappresenta una figura molto importante, delle volte è l'unica ragione che mi dà la forza e mi spinge a non mollare o a cambiare squadra. Adesso mi rende orgoglioso essere il capitano di questa squadra e spero vivamente che anche lui da lì su sia fiero di me. Certo è difficile far capire alle persone che non l'hanno mai conosciuto il suo vero valore, anche se devo dire che diversi compagni sono riusciti a "prendere a cuore" questa squadra, facendosi motivare anche da tutto quello che ci circonda (le sorelle di Antonio e i suoi genitori) e cercare il più possibile di essere utili alla causa. Ci sono molte cose che mi ricordano di lui, sia dentro che fuori dal campo durante la giornata, dal suo improvvisare frasi rap, alla famosa "mossa del granchio", quando prese a cazzotti un albero perché era stato espulso ingiustamente, a tutto il suo impegno quando è dovuto star lontano dal campo per l'infortunio alle anche, e ogni domenica per motivarci al meglio preparava sempre qualcosa di nuovo: il pallone con gli aggettivi dove ognuno di noi doveva togliere il nastro che li copriva ma che poi uniti tutti insieme ci legavano in qualcosa; le lettere con dei riferimenti a racconti di storie accadute in passato; i suoi miti che per certi versi potevano essere anche i nostri oppure lo striscione "faber est suae quisque fortunae" creato il giorno della finale di coppa, con i fogli dei cori rivisitati in versione A.S.D. Capannelle che ha consegnato a tutti i tifosi che erano presenti quel giorno e così via, potrei tirarne fuori ancora molti di ricordi. Come detto ce ne sono diversi di ricordi che sono impressi nel mio cuore, però una cosa che prevale su tutte (forse perché l'ho vissuta in prima persona) è un fatto accaduto durante una partita di campionato che giocavamo in casa (in quell'annata "storica") contro il Real Aurora, avversari che avevamo già affrontato diverse volte e con cui non c'è mai stata molta simpatia. Quel giorno Antonio era in tribuna perché era da poco tempo che aveva scoperto questo problema alle anche che non gli permetteva di giocare. La partita ovviamente era calda e tirata, il clima tra tifosi e giocatori molto teso, quando verso la fine un avversario fece un brutto fallo ad uno di noi, ed ovviamente dalla tribuna (dove c’era Antonio) partì tutto l'accanimento possibile contro di lui. Poco dopo la partita finì e ovviamente gli animi erano ancora accesi e i battibecchi tra lui e questo avversario sono continuati anche fuori, quindi Antonio entrò negli spogliatoi cercando di andarsi a scontrare con questa persona. Ovviamente tutti cercammo di fermarlo (compreso io che ero in accappatoio e ciabatte) quindi in tre cercammo di riportarlo nello spogliatoio e una volta dentro riuscii a chiudere la porta spingendo Antonio dentro, ma lui che continuava a cercare di liberarsi, quando tutto a un tratto si fermò, mi abbracciò forte e scoppiò a piangere, urlando che voleva tornare a giocare, e non ce la faceva più a stare fuori dal campo e non poterci dare una mano, ed io l'unica cosa che ho potuto fare con le lacrime agli occhi è stato stringerlo forte a me dirgli che sarebbe tornato presto. In questo episodio ho capito ancora di più tutto l'amore che provava per il pallone e l'attaccamento e il bene che ci voleva, è stato nello stesso tempo un momento triste, ma davvero emozionante che mi è rimasto impresso in maniera incredibile. Per fortuna questa rivincita se l'è presa poco dopo, nei quarti di finale di coppa di provincia, partita secca in campo neutro e ovviamente ci capitò il Real Aurora, questa volta Antonio era in panchina (al fianco della squadra anche se infortunato), la posta in palio era alta e il caso ha voluto che sul risultato di 1 a 1 il Mister (al tempo Maurizio D'Onofrio) decise di farlo entrare nella ripresa, ed fu proprio lui che durante un calcio d'angolo nella mischia riuscì a segnare il goal del 2 a 1, scatenando l'apoteosi più totale, e permettendoci così di andare avanti in quella coppa persa poi in finale ai rigori.

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