C’era una volta un
poeta che fece della sua indipendenza la sua forza, ma, allo stesso tempo la
sua debolezza. Un ribelle che, attraverso i suoi occhiali scuri, vedeva e
prevedeva una realtà difficile e bellissima, con la quale non aveva paura di
sporcarsi e confrontarsi. Un narratore in grado di raccontare, come gli aedi
del passato, cimentandosi con ogni mezzo di espressione, con una voracità e un
coraggio che non hanno più avuto eguali.
C’erano
una volta, e ci sono ancora, due investigatori che non potrebbero essere più
diversi tra loro e che di favole non
ne raccontano. Indagano, piuttosto, su quelle storie nere su cui ancora nessuno
ha saputo scrivere la parola “fine” e, tra documenti, interviste e ricostruzioni,
non hanno paura di dire la loro facendo parlare i fatti, a costo di deludere
chi è giunto a conclusioni differenti.
Con
la Capitale sullo sfondo che, fino a oggi, è stata il teatro prediletto per le
loro indagini, il giornalista investigativo Fabio Sanvitale e il criminalista, esperto di scena del crimine, Armando Palmegiani sono tornati
indietro nel tempo a quella notte tra il 1 e il 2 novembre 1975 quando,
all’Idroscalo di Ostia, il poeta Pier Paolo Pasolini è stato brutalmente
ucciso. Non sono stati sufficienti oltre quarant’anni di indagini, infatti, per
far pienamente luce su cosa accadde quell’ultima
notte sulla quale la giustizia italiana, invece, condannando il
recentemente scomparso Pino Pelosi, ha messo un punto che non ha mai
soddisfatto l’opinione pubblica del nostro Paese, divisa tra complottismo,
indifferenza e idolatria.
Ma
come è nata l’esigenza di scrivere questo libro, “Accadde all’Idroscalo. L’ultima notte di Pier Paolo Pasolini”, Sovera Edizioni, che riprende le fila
di una vicenda ingarbugliata come solo la realtà sa essere? Qual è la storia nella storia di cui gli autori si
sono resi protagonisti durante la stesura? E cosa li ha spinti, dall’Idroscalo,
a San Basilio, passando per Testaccio, San Lorenzo e via Ostiense, sulle tracce
di un’inchiesta più in bianco e nero del solito?
“Prima di aprirci alle
storie di carattere nazionale ci siamo sentiti quasi in debito con quella di
Pasolini, perché era uno dei più importanti ‘casi romani’ dei quali non ci
eravamo mai occupati prima e sui quali pensavamo di poter fare la differenza,” ci
ha confidato Fabio Sanvitale, abbozzando un sorriso, come fa sempre quando sta
per dire qualcosa che evidentemente lo ha toccato nel profondo. “Il libro nasce proprio dalla volontà di
dare delle risposte ai tanti interrogativi ancora aperti su questa vicenda
piena di contraddizioni e troppo spesso condita da un’aura di complottismo che
abbiamo voluto sfatare con più precisione possibile, senza mai perdere di vista
i fatti. Man mano che le ricerche procedevano abbiamo scoperto di avere un
coinvolgimento particolare che non avevamo previsto e questo è dovuto senza
dubbio alla figura di Pasolini e alla sua grandezza. Scrivendo ci siamo resi
conto che questo libro stava diventando particolare anche rispetto a tutti gli
altri scritti insieme. Che ci stava spingendo oltre i nostri limiti, sia come
autori, sia come esperti delle rispettive materie e, in un certo senso, stava
anche cementando il nostro legame di investigatori. Il punto da cui siamo
partiti è stato proprio l’intimo convincimento che, per comprendere meglio la
morte del poeta, fosse necessario capirne la vita fino in fondo, ed è stato
impossibile rimanere umanamente indifferenti al fascino e alla profondità di un
artista unico nel suo genere come Pasolini, al di là dell’aspetto investigativo
e criminalistico della storia”.
“Questo coinvolgimento
emotivo da una parte ha facilitato le ricerche, perché la voglia di venirne a
capo era forte, dall’altra ha comportato anche grande apprensione nella fase di
stesura. Ci siamo affaticati fisicamente e ci siamo fermati più volte per poi
ripartire più convinti di prima, cosa che, a posteriori, ci ha reso giustizia,
visto il riscontro dei lettori,” ci ha confessato Armando
Palmegiani, soddisfatto e sagace, ma sempre ironico, come sa chi lo conosce
bene. “La ricostruzione dell’Idroscalo,
in particolare, ci ha tenuti impegnati per oltre un anno e non solo per la
scena del crimine. Da che parte fosse entrata l’auto di Pasolini quella notte,
ad esempio, e tutta una serie di scoperte di cui parliamo nel libro sono state
fatte davvero dopo una sequenza di ragionamenti durati ore e ore e che nel
testo sono riassunti solo in minima parte nelle conclusioni alle quali siamo
giunti. È stato faticoso, ma siamo certi di aver raggiunto il risultato più
verosimile possibile, almeno secondo noi”.
“Altri momenti memorabili
riguardano le numerose interviste all’interno del testo,”
ha proseguito Fabio. “Ricordo anche di
essermi recato di persona a Casarsa, nel Friuli, dove Pasolini aveva trascorso
parte dell’infanzia, ospite dei nonni materni. Non era indispensabile per la
stesura del testo, ma respirare quell’aria di campagna che sembrava immobile ai
mutamenti del tempo e riconoscere alcuni posti di cui avevo letto nelle
numerose biografie, mi ispirò molto e mi spronò nell’analisi e
nell’investigazione. L’intervista con Antonio Mancini, uno dei principali
esponenti della Banda della Magliana, è stata molto stimolante, perché ci siamo
sentiti più volte e lui non parlava con i giornalisti da un po’ di tempo,
quindi il fatto che ci abbia concesso il suo tempo, facendo tutte le
rivelazioni forti e interessanti che si trovano nel libro è stato motivo di
grande soddisfazione per noi. Ho ancora le sue parole che rimbombano nelle
orecchie: “Non uso un minorenne per portare a dama Pasolini e poi lo lascio a
casa.”, penso che rendano bene l’idea. Anche l’intervista col ‘Pecetto’ è stata
memorabile e illuminante per certi aspetti. Ci siamo seduti assieme nel suo
studio a Monteverde e abbiamo parlato per ore. Mi ha mostrato foto e documenti
dell’epoca che mi hanno sorpreso. Non avevo previsto di trascorrere con lui
diverse ore, con tanto di ‘pausa pranzo’ e di giro turistico, se così si può
dire, per questo storico quartiere di Roma”.
“Un momento che ho
impresso nella memoria è stata la consultazione degli atti, sia al Tribunale
dei Minori, sia in Corte D’Assise,” ha raccontato Armando. “Abbiamo ritrovato perfino i nastri delle
intercettazioni fatte nel ’75 sui ragazzi che quella fatidica notte erano con
Pino Pelosi a Piazza dei Cinquecento che, ovviamente, si potevano ascoltare
solo con un registratore a nastro che ci siamo rocambolescamente procurati.
Consultando, invece, gli atti delle indagini che si sono concluse nel 2015
abbiamo scoperto una sorprendente parentela, che abbiamo svelato solo
nell’ultima pagina del libro e che ha messo in fila tutte le nostre indagini,
mostrandoci le vicende sotto una luce completamente nuova. Una scoperta
esplosiva, una vera e propria svolta”.
“Ma non tutto è stato
così semplice, moltissime persone coinvolte non hanno voluto parlare con noi,
alcune in modo prevedibile, altre meno. E altrettanti testimoni inaspettati
sono saltati fuori perfino dopo, a libro finito, lettori probabilmente,” ha
concluso Fabio, interpretando il pensiero di entrambi. “Come sempre, quando si pubblica qualcosa, nel momento stesso in cui
un libro esce, smette quasi di essere solo di chi l’ha scritto e diventa anche
di chi lo legge. In questo caso i lettori si sono divisi: per molti si è
trattato di un libro equilibrato, che finalmente ha affrontato la vicenda senza
voler vedere a tutti i costi dei fantasmi anche là dove non ce n’è traccia. Per
altri, i cosiddetti ‘complottisti’, è stata una delusione, ce ne rendiamo
conto. L’apprezzamento di alcuni colleghi che, a loro volta si erano occupati
del caso in passato, ci ha fatto enormemente piacere. Perfino qualche
consulente che ha collaborato con le ultime indagini è stato d’accordo con noi,
trovando perfino delle risposte tra le pagine del nostro libro. Di sicuro è un
libro che non ha lasciato indifferente nessun lettore, perché quando muore un
eroe è difficile accettare che ciò non sia accaduto ‘in maniera eroica’. Ci
aspettiamo tutti una fine più simile possibile a una narrazione letteraria.
Questa però è la vita, quella vera. E non tutti accettano il fatto che
probabilmente quella notte molte cose sono semplicemente sfuggite di mano. Il
complotto si adatterebbe meglio al ‘personaggio’ Pasolini, ma il nostro fidato
‘rasoio di Occam’ anche questa volta ci ha portato su un’altra strada e a
conclusioni molto più lineari con le quali, forse, molti non saranno mai
d’accordo, ma che ci vuole comunque grande onestà intellettuale a perseguire,
senza ostinarsi, invece, a portare avanti tesi più allettanti, ma pur sempre
fantasiose”.
Al
di là dello sgomento per il racconto della morte di un poeta ineguagliabile, di
questa storia nella storia ci resta
il coraggio di due autori dalla personalità forte, fuori e dentro le pagine, e
dallo stile inconfondibile, scorrevole e diretto, fatto di dialoghi incalzanti
e viaggi nella cronaca alla scoperta solo di ciò che i fatti suggeriscono.
Percorsi semplici, ma nient’affatto facili, quelli di Armando Palmegiani e
Fabio Sanvitale che, come ci hanno svelato loro stessi, sono pronti per
valicare i sette colli e lasciarsi alle spalle, canari, guardie svizzere e
bande di criminali di borgata per analizzare alcuni recenti fatti di cronaca
nazionale in nuovo libro di prossima uscita che svilupperà il tema della
psicologia della testimonianza, rendendo ancora più rovente la nostra estate.
E
vissero tutti felici, contenti e in attesa della prossima storia nella storia…
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