Quanto
si è scritto sui Cavalieri Templari, il misterioso Ordine sempre in bilico tra
fede e violenza? Tra saggi, romanzi e saghe, davvero tanto. Ma in pochi sono
riusciti a entrare così in profondità negli aspetti più inediti di questa
impenetrabile confraternita, come Giuliano
Scavuzzo col suo romanzo “Il marchio
perduto del Templare”, edito da Newton
Compton. La particolarità di questa storia sta proprio nella capacità dell’autore
di mescolare note fonti storiche a leggende meno conosciute, fino a creare un
intreccio che si basa principalmente sulla rivalità tra il protagonista, il
Templare Shane de Rue, e il suo antagonista, Lucifuge, il capo di un gruppo di
Cavalieri che, in seguito alla prigionia in Terra Santa, hanno venduto l’anima
al diavolo e vogliono scatenare l’Apocalisse.
Oltre
allo spessore psicologico di questi personaggi, buoni e cattivi nello stesso tempo, perché mossi da emozioni così
forti, da condurli a sfidare perfino le forze della natura, l’originalità di
questo romanzo sta nell’abilità di Giuliano Scavuzzo di amalgamare il romanzo
storico a quello esoterico, sullo sfondo di una Roma dimenticata, dipinta in
modo tanto vivido, da fare invidia alle grandi saghe.
Assieme
a un variegato quadro di personaggi solo apparentemente secondari, come l’impenetrabile
strega Lilith, l’unica che può liberare Shane dalla spaventosa maledizione che
lo tormenta, e lo scaltro Don Graziano, il prete deciso a salvare la vita dei
gemelli il cui sacrificio dovrebbe mettere in moto l’Apocalisse, torna il topos della ricerca di un Grimorio
perduto ma necessario per compiere la cerimonia verso la distruzione finale.
Un
romanzo dai ritmi incalzanti e dallo stile semplice, ma intrigante che cattura
a tal punto, da far sperare presto in un seguito degno di personaggi che hanno
ancora molto da raccontare.
Sei Cavalieri Templari
che hanno votato l’anima al diavolo, un misterioso Grimorio scomparso e una
maledizione che incombe nella infinita lotta tra il bene e il male: inizia così
“Il marchio perduto del Templare”, Newton Compton, un romanzo dal ritmo
incalzante. Raccontaci la genesi di questo libro: cosa ti ha ispirato durante
la stesura e cosa hai voluto trasmettere?
A
ispirarmi è stata la storia di Roma che in pochi conoscono: quella della povera
gente, della vita comune e dei reietti. Le leggende che animano l’urbe sono
moltissime, spesso ignorate dagli stessi romani, è incredibile scoprire che
quasi nessuno, ad esempio, conosce quella di Castel Sant’Angelo, o quelle
relative al Pantheon e allo stesso Colosseo. Volevo raccontare una storia nella Storia, uno scorcio oscuro
in cui quasi tutto veniva spiegato o con la fede, o con la stregoneria.
Quando e da dove nasce il
tuo bisogno di scrivere? Che autore sei: segui l’ispirazione a qualunque ora
del giorno o hai un metodo collaudato al quale non sapresti rinunciare?
Da
sempre amo scrivere, ricordo che al liceo impiegavo meno di mezz’ora per fare
temi di svariate pagine, le parole scorrevano da sole. Però per far diventare
la scrittura un mestiere servono impegno e dedizione. Chi dice: “Scrivo quando
mi sento ispirato”, a mio avviso, non è uno scrittore. Scrivere deve essere
prima di tutto un mestiere, va preso alla stregua di qualsiasi attività
lavorativa. Uno scrittore è prima di tutto un artigiano, credersi artisti è un atto di assoluta presunzione. Il
mio metodo è semplice: mi alzo la mattina e rileggo quanto fatto il giorno
precedente, questo mi aiuta a “entrare nel romanzo” e poi scrivo. Fino a
quando? Finché posso, anche tutta la giornata. Consiglio solo qualche pausa
caffè, per sgranchire membra e mente.
Come definiresti Shane e
Lucifuge, protagonista e antagonista di questo romanzo? In generale come
delinei i personaggi delle tue storie e le vicende che si trovano ad
affrontare, tra realtà storica e fantasia?
Shane
e Lucifuge sono due anime ferite, forse mortalmente. Non amo i personaggi
monodimensionali: cattivi ultra perfidi o buoni vicini alla canonizzazione! In
ognuno di noi ci sono luce e ombra, bene e male, la cosa difficile è scegliere
volta per volta e agire secondo coscienza. Così quando creo un personaggio gli
costruisco intorno una storia, che spesso nel romanzo neanche racconto. Non
serve per il lettore, ma per me, per entrare nella mente del personaggio e
farlo agire e parlare in base al suo passato. Ma soprattutto ciò che li rende
vivi, a mio avviso, sono le motivazioni.
Per saper scrivere bene
occorre, senza dubbio, leggere molto. Che libri ci sono al momento sul tuo comodino? Che generi e quali
autori prediligi?
Leggere
è essenziale, senza dubbio. Come lo scrivere tanto, e di tutto. Personalmente
sono un lettore caotico al limite del patologico. In questo momento sul mio
comodino ci sono alcuni libri molto diversi tra loro: Per chi suona la campana
di Hemingway, La stanza profonda di Vanni Santoni), I miti celtici di Miranda
Green, Il libro dei Chakra di Anodea Judith, Il cavaliere nero di Bernard
Cornwell, A ovest di Roma di John Fante.
A cosa stai lavorando
attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.
In
questo momento sto lavorando a due romanzi che ho appena finito di scrivere.
Uno è il sequel de “Il marchio
perduto del Templare”. È quindi un romanzo storico-esoterico e mi sono
addentrato ancora più in profondità nelle tradizioni, oscure e mediche, del
periodo. L’altro è qualcosa di nuovo, di diverso rispetto agli storici, ma non
svelerò di più...
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