lunedì 16 marzo 2015

Antonio Finelli: documentatore di corpi e anime

I suoi autoritratti raccontano storie che nemmeno il più talentuoso dei poeti riuscirebbe a cantare con tanta maestria: Antonio Finelli è un giovane e brillante artista di fama internazionale, che sta esponendo in tutto il mondo. Alla continua ricerca della perfezione del dettaglio, Antonio studia da sempre l’evoluzione dei corpi, per rivelare ciò che, solo in punta di matita, si riesce a cogliere, lasciando lo spettatore letteralmente senza fiato. Dal 18 marzo in mostra con “L’illusione del corpo”, presso la Galleria “Aratro”, nell’Università degli Studi del Molise, Antonio ci ha svelato in esclusiva i segreti della sua arte.

Capelli bianchi e rughe: i soggetti che prediligi saltano subito all’occhio. Come li scegli e che emozioni vuoi suscitare nel tuo pubblico?

I miei soggetti li ricerco nel quotidiano. Spesso mi capita di conoscere e incontrare delle persone e in base alla loro conoscenza e al loro vissuto scelgo o meno di realizzare un disegno. La mia scelta di collaborare con persone che hanno un vissuto sulla loro pelle è dovuta al fatto che sono continuamente ossessionato del mutamento del corpo attraverso il tempo. Infatti nei miei disegni non amo rappresentare la vecchiaia in quanto tale, sono attratto piuttosto dal passaggio per arrivare ad essa! Sono fortemente innamorato del corpo, soprattutto della pelle, lo strato più esterno, che assorbe e registra tutte le informazioni intorno a noi, e in particolare della sua evoluzione e trasformazione attraverso l’età. Sono incuriosito da tutti quei segni, linee, punti che impreziosiscono la nostra cute con lo scorrere degli anni e che testimoniano il passaggio della vita dell’individuo.

Tutto sembra venire dalla punta della tua matita: che artista sei? Quali tecniche preferisci?

Io mi definisco più che un artista un documentatore, in quanto il mio obbiettivo non è tanto quello di realizzare un bel disegno, quanto più quello di documentare un cambiamento: l’evoluzione del corpo. Per fare questo lavoro mi servo degli strumenti a me più congeniali: matite ben appuntite, gomme e lenti di ingrandimento per poter scorgere e rappresentare tutti i segni sulla pelle, centimetro per centimetro.

La tua cura per i dettagli e, talvolta, la voluta assenza di essi, non fanno sentire affatto la mancanza dei colori: ogni opera è un autoritratto, perché? Parlaci dei tuoi percorsi e di dove ti stanno conducendo.

Come ogni artista ha una sua evoluzione, anche io sono partito da un tipo di prodotto che, man mano, si sta modificando per arrivare a diventarne un altro. I miei primi lavori erano dei visi ben definiti e curati in ogni singolo dettaglio, adesso le mie immagini stanno diventando sempre più svuotate, angoscianti e alienanti. Credo che in questo modo emerga meglio la tematica della pelle e dei suoi cambiamenti. Non mi interessa il nome della persona o la sue origini, ma la sua pelle e il segno del tempo impresso su di essa: per questo do un titolo uguale a tutti i miei lavori.

Esponi molto sia in Italia, sia all’estero: con quali realtà ti sei confrontato nella tua carriera? E che differenze hai trovato fra il bel Paese e il resto del Mondo? Si può ancora vivere di arte?

Penso che il lavoro principale di un artista sia soltanto quello di produrre Arte. Se le mostre ci sono è un bene, ma non deve essere l’esigenza principale dell’artista e nemmeno deve essere lui a preoccuparsi di esporre, ma gli altri a chiedergli di partecipare a una mostra. Lo stesso vale anche per la vendita delle opere. Più la figura dell’artista sta lontano dal mercato dell’Arte e dai circuiti che gli girano attorno e meglio è: a ognuno il proprio lavoro.

Chi sono stati i tuoi maestri? E chi sono gli artisti, del tuo tempo o di epoche passate, dai quali hai tratto maggior insegnamento nel corso della tua carriera?

Durante la mia formazione in Accademia di Belle Arti a Roma ebbi la fortuna di conoscere e appassionarmi all’Arte di Giuseppe Penone, noto esponente dell’Arte Povera, il quale, nei suoi lavori giovanili (Svolgere la propria pelle, 1970) riproduceva, su grandi pareti, tutti i segni presenti sulla sua pelle. I suoi lavori apparivano come grandi cartine geografiche, assai distanti dal realismo, ma, al tempo stesso, carichi di tanta forza emotiva. Penone con i suoi grandi disegni ha cercato di trasmettere al fruitore un messaggio ben preciso: le molteplici informazioni assimilate dalla pelle durante il percorso degli anni. Questa tematica è stata di forte stimolo alla mia ricerca.




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