Dopo
una brillante carriera giornalistica durata oltre vent’anni passati a
raccontare eventi culturali di ogni tipo e a intervistare personaggi del mondo
dell’arte a tutto tondo, Valeria
Montaldi ha deciso di dedicarsi alla narrativa, assecondando la sua
naturale sensibilità verso la storia e la fantasia. A partire da “Il mercante di lana”, pubblicato da
Piemme nel 2001, tutti i suoi romanzi, editi anche all’estero, hanno avuto un
grandissimo successo di critica e di pubblico, rimanendo per settimane ai primi
posti delle classifiche e coinvolgendo migliaia di lettori appassionati di
romanzo storico e non solo, grazie alle ambientazioni ammalianti, ricostruite
in modo impeccabile, e ai personaggi sempre credibili e coraggiosi.
“La randagia”,
Piemme, l’ultimo romanzo di Valeria
Montaldi, l’ha definitivamente consacrata tra le più abili autrici italiane a
coniugare con grande sapienza ed efficacia generi apparentemente inconciliabili,
come il romanzo storico e il giallo, sviluppando storie parallele tra il
Medioevo e i giorni nostri. Tutto inizia nel lontano 1494, Britta è una giovane
indomita e indipendente, che vive sola nei boschi di Machod e aiuta gli
abitanti dei villaggi vicini grazie alla sua impareggiabile conoscenza delle
erbe, finché non viene accusata di essere una strega. Molti secoli dopo, nel
2014, Barbara Pallavicini, una studiosa di storia medievale, sta compiendo
delle ricerche nei sotterranei di un castello della Valle d’Aosta, quando
scopre il cadavere di una giovane donna del luogo, il cui omicidio nasconde un
oscuro mistero. Riuscirà Barbara a ricucire le trame strappate del tempo e a
venire a capo di questa intricata vicenda che sembra affondare in un oscuro
passato? Al suo fianco ci sarà una fitta rete di personaggi memorabili, tra cui
il Maresciallo Giovanni Randisi, deciso quanto lei a risolvere il caso a ogni
costo. Un romanzo indimenticabile, ricco di colpi di scena fino all’ultima
riga.
Dopo una brillante
carriera giornalistica, ti sei dedicata alla narrativa con l’entusiasmo e
l’impegno che ti contraddistinguono. Raccontaci le motivazioni di questa
scelta: cosa ti ha spinto e cosa ti ha ispirato?
È
molto semplice: volevo capire se sarei stata in grado di scrivere un romanzo.
La scrittura d’invenzione è un’attività ben più impegnativa del giornalismo:
richiede impegno, disciplina, pazienza, continuità, grande severità verso se
stessi. Non sapevo se ci sarei riuscita, ma quello che mi sento di affermare è
che, fin da subito, ho capito quanto mi fossero stati utili i venticinque anni
passati a scrivere articoli: il giornalismo insegna a non “sbrodolare” il
testo, ad asciugarlo il più possibile, ma, soprattutto insegna a osservare.
Mentre intervisti una persona, la guardi, la ascolti, spii le sue reazioni alle
tue domande: insomma la studi. Il che torna poi utile quando devi dar vita a
personaggi d’invenzione e vicende che abbiano credibilità: cura da non
sottovalutare, perché il rischio di creare figure e situazioni inverosimili è
sempre in agguato.
Quando e da dove nasce la
tua esigenza di scrivere a tutto tondo? Che autrice sei: segui l’ispirazione in
qualunque momento della giornata o hai un metodo ben preciso al quale non sai
rinunciare?
Ho
sempre letto e scritto molto, sia nell’infanzia che nell’adolescenza. Fin da
allora, mi piacevano le trame ben costruite, con personaggi in grado di
intrecciare le loro storie in modo naturale, senza artifici di sorta. Quanto
alla cosiddetta ispirazione, per quanto mi riguarda, non esiste: quando decido
di cominciare un nuovo romanzo, rifletto a lungo prima di stabilire l’argomento
di cui scrivere. È un ripensamento continuo: le idee possono essere tante e
prima di trovare quella giusta ci vuole tempo. Alla fine, però, la si scova da
qualche parte, la si fa propria e finalmente si comincia a costruire una trama.
È ovvio che, seguendo questo metodo, non tutte le giornate danno buoni frutti,
ma di solito la perseveranza è premiata.
Sappiamo che per la stesura
di un romanzo storico è necessario un lungo periodo di ricerca: come si
struttura il romanzo storico perfetto?
Come gestisci l’intreccio tra storie ambientate in epoche differenti e
l’interazione tra personaggi storici e di fantasia?
La
documentazione deve essere accurata, perché è facilissimo commettere errori,
anche grossolani. Generalmente, strutturo i miei romanzi in modo che la trama
scorra su piani ambientali e temporali diversi: il che significa alternare
capitoli in cui vicende apparentemente slegate fra loro si incastrino a poco a
poco, creando un tutto unico. In quest’ottica, sono i personaggi di fantasia ad
avere la meglio: quelli storici, seppur presenti e ampiamente documentati,
restano relegati al ruolo, spesso significativo, di comprimari. Credo che,
qualunque sia il periodo storico di cui si parla, le passioni umane, positive o
negative, siano sempre le stesse: non è quindi difficile far diventare il
presente uno specchio del passato, e viceversa.
È ancora possibile oggi,
secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno, a prescindere
dall’ambito? Cosa significa collaborare con grandi e piccoli editori? Dai un
suggerimento a un giovane che volesse seguire le tue orme.
Per
me la scrittura “è” una professione a tempo pieno e, oggi come oggi, non potrei
farne a meno. È la mia vita, la mia passione, il mio modo di analizzare me
stessa e il mondo che mi circonda. Attualmente non vedo grandi differenze fra
grandi e piccoli editori, il mercato è avaro di soddisfazioni per tutti: per
questo, l’unico consiglio che mi sento di dare a chi volesse intraprendere il
mio stesso mestiere è quello di bussare a molte porte, senza precludersene
nessuna. Nonostante la crisi che stiamo vivendo, è difficile che un editore
serio si lasci scappare uno scrittore promettente.
A cosa stai lavorando
attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.
Sto
cominciando il mio nuovo romanzo, cos’altro dovrei fare, del resto? E il mio
programma è scriverlo il meglio possibile!
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